Visitare la Rocchetta Mattei (Fig.1) è sempre molto stimolante per me. Associazioni di idee, fantasie, confronti, domande… offre sempre un sacco di spunti! L’ultima volta, ad Agosto, mi è tornato in mente lo straordinario libro di Jurgis Baltrušaitis: “Il Medioevo fantastico” (sottotitolo: “Antichità ed esotismi nell’arte gotica”), edito in Italia da Adelphi. Libro molto gustoso e pieno d’immagini, utile a capire come il mondo fosse, anche in epoche assai lontane, molto più piccolo e interconnesso di quello che a noi sembra.
E sarebbe strano, visto che la Rocchetta Mattei è un castello Ottocentesco (benché costruito sui resti di una rocca medievale), se non fosse che un certo collezionismo ecclettico del conte Mattei, lo portò a prendere alcuni elementi dalle chiese antiche, più o meno ridotte in ruderi, che costellavano i suoi vasti possedimenti tra gli Appennini tosco-emiliani e la Bassa ferrarese. Questi “elementi” (pulpiti, cariatidi, camini, fonti battesimali, edicole, cornici, sarcofagi, ecc.), appartengono ad un’età che va dal 1100, al 1500 e fanno mostra di se incastonati nei muri dei cortili della Rocchetta.
Tra essi ci sono le due grandi cariatidi che presidiano l’arco di accesso dall’entrata al cortile centrale (Fig.2);
rappresentano un uomo (Fig.3) e un demone (Fig.4).
Si tratta di due sculture in prezioso marmo di Verona (con una palette di colori che va dal crema dell’uomo, al rosso del demone), provenienti sicuramente dall’entrata di un’importante chiesa medievale. Risalgono probabilmente al XII secolo.
Sono di ottima fattura benché rovinate (soprattutto il demone) da vandali e razziatori: padroni per decenni e a più riprese nel castello.
Bellissimo e tipicamente medievale l’uomo (Fig.3) a gambe incrociate, lo sguardo spalancato, il corpo rigido nello sforzo… ma è il demone (Fig.4) che cattura ogni volta la mia attenzione!
Lo guardo e ogni volta penso: “Ma… possibile che ci assomigli così tanto? … No dai! È solo un’impressione! È una scultura difficile da vedere bene: sempre in penombra o in controluce e, in ogni caso, molto rovinata… È questa forma un po’ incerta che mi inganna… eppure…”
Così, questa volta, ho cercato di fotografarlo per poi, con calma, fare qualche confronto a casa.
Visto che il volto del demone è veramente malmesso (Fig. 5), soprattutto sul lato destro, ho fatto anche un montaggio con la foto speculare del lato sinistro in modo da avere un’idea un po’ più precisa di come doveva essere (Fig. 06).
Per me sono questi gli elementi principali del viso del demone:
- gli enormi occhi all’infuori;
- la bocca ghignante provvista di zanne (i denti davanti, che la bocca scopriva, purtroppo non sono più riconoscibili);
- la lingua di fuori;
- il largo naso schiacciato (Fig.7);
- le orecchie a punta (asinine?) (Fig.7);
- i capelli come ciocche dritte sopra la fronte;
- Le “pieghe del sorriso” al lato della bocca (Fig.7)
Una volta, era provvisto anche di un paio di lunghe corna, purtroppo ora mutilate (Fig.8).
È molto probabile che l’uomo e il demone siano opera dello stesso scultore; eppure, ed è un paradosso, il demone sembra più “vero”, più reale dell’uomo: quest’ultimo rimane imprigionato nella propria, medievale, rigidità.
L’iconografia e l’eleganza naturale, le proporzioni degli elementi, l’andamento curvilineo delle linee che compongono il volto del demone, a mio avviso, rivelano la presenza di un modello preciso e accurato che servì all’artista per elaborare questa scultura.
Quindi: quali modelli, quali riferimenti aveva l’artista nell’ideazione di questo demone?
Qual è il prototipo?
Intanto, va notato che si tratta di un’iconografia demoniaca (nel volto) che ritroviamo in tante opere tra il 1100 e il 1400: dai tanti “Gargoyle” di pietra che decorano le cattedrali gotiche del nord Europa, ai grandi cicli di affreschi come nello spettacolare “Trionfo della Morte di Buffalmacco”, nel Camposanto di Pisa (a partire dal 1336) (Fig.9).
È un tipo di demone che ebbe una buona diffusione nel medioevo europeo. Alcuni suoi attributi (la bocca ghignante con zanne, la lingua di fuori, l’aspetto mostruoso, l’occhio spalancato) si ritrovano in quell’antichissima tradizione pagana Mediterranea che creò l’iconografia di Medusa (Fig.10).
Ma, a mio avviso, non serve andare così lontano nel TEMPO per trovare i riferimenti iconografici di questa statua; bisogna piuttosto, viaggiare nello SPAZIO spostandosi a est, fino all’Oriente più lontano.
Qui, tra navi e carovane cariche di spezie, tessuti, ceramiche e altre meraviglie da vendere in giro per il mondo, lungo rotte e vie sottili ma antichissime; c’era impresso tutto un vasto repertorio d’immagini fantastiche con draghi, demoni e animali feroci.
Fantasie risolte stilisticamente in modi assai più freschi ed efficaci rispetto a quelle dell’Occidente alto medievale.
Tra queste raffinate mercanzie, è possibile che ci fossero anche delle maschere; delle piccole maschere balinesi… Ma chissà, qualcuno potrebbe trovare altri riferimenti in Cina o in altri paesi dell’estremo Oriente…
Ad ogni modo, tra i personaggi del ciclo mitologico balinese, troviamo: principi e principesse, servi, demoni buoni e demoni cattivi, streghe, animali ecc.
Le loro vicende sono rappresentate nel teatro tradizionale balinese che si serve di costumi e maschere spesso meravigliose quanto terrificanti.
Sono maschere i cui canoni si ripetono uguali identici da almeno un migliaio d’anni; molto colorate e di grande impatto soprattutto nelle caratterizzazioni degli aspetti mostruosi (Fig.11).
Da “noi” (Occidentali e cristiani) non esistono “demoni buoni” come in Oriente o come altresì esistevano in epoca pagana. Quelle maschere, qui in Occidente, se qualcuno le avesse mai utilizzate, sarebbero finite insieme a quelle dei demoni malvagi e delle streghe perché potevano rappresentare solo Satana o i suoi diavoli.
Il più famoso e importante di questi “demoni buoni” balinesi è sicuramente il Barong (Fig.12).
Dall’aspetto mostruoso, il Barong si muove su quattro zampe (due attori) in un tripudio di colori e suoni. È un po’ tigre e un po’ leone, ma ha il carattere innocente e giocoso di un bambino.
Esistono almeno due tipi di maschere balinesi: un tipo “da teatro” (Fig.12) che può essere indossato ed è molto complesso e costoso; e un tipo “da esposizione” (Fig.13)che non si indossa ma può essere appeso al muro ed è spesso molto più piccolo e meno elaborato (e quindi meno costoso) di quelle “da teatro”.
Il tipo “da esposizione” è quello appeso nelle case balinesi come simbolo di buon augurio e protezione; al giorno d’oggi è anche uno dei souvenir tipici di Bali. Insomma, è il tipo più diffuso e di cui è più semplice fare commercio. Confrontandoli entrambi con il viso del demone, mi sembra di vedere più convergenze con la maschera del Barong “da esposizione” che con quella “da teatro” (a parte orecchie e corna).
Del resto quest’ultima sembra ancora più pertinente nel confronto con il demone del Camposanto di Pisa già citato: hanno entrambi la barba, bocca enorme con zanne, orecchie a punta, corna… (Fig.14).
In un confronto con il nostro demone si nota un’impressionante convergenza di elementi simili (Fig. 15, 16):
- gli enormi tondi occhi all’infuori;
- il grande naso schiacciato;
- la bocca ghignante provvista di zanne;
- le orecchie a punta (anche se il Demone le ha rivolte all’indietro e il Barong verso l’alto);
- la lingua di fuori (anche se il Barong l’ha più corta),
- i capelli in ciocche dritte;
- le “pieghe del sorriso” al lato della bocca (Fig. 17)
Notare poi come, di profilo, i due soggetti si assomiglino: le palpebre, il contorno e le pieghe ai lati della bocca, la linea che definisce la narice. Sono tutti elementi risolti nello stesso modo. Lo scultore aveva certamente nel proprio repertorio d’immagini un qualche modello orientale che, a mio modesto avviso, potrebbe proprio essere il Barong.
Infine la maschera dal Barong tradizionale è per lo più dipinta in rosso, proprio come il demone della Rocchetta è scolpito nella vena più rossa del marmo di Verona.
È vero che il rosso è, nella tradizione cristiana il colore (o uno dei colori) del peccato: si associa al desiderio e alla passione sessuale; è il colore di cui è vestita la ex-meretrice santa Maria Maddalena.
Una ragione in più per utilizzare con efficacia il Barong come esotico prototipo demoniaco, in un contesto così diverso.
Insomma, un bel po’ di corrispondenze iconografiche e stilistiche… casuali?
Esistono però alcune differenze:
il Barong “da esposizione” non ha le corna (quello “da teatro” nella corona dorata invece ha due forme –tipo il motivo del “peramecio”- che, in Occidente, potevano tranquillamente essere assimilate a delle corna!) mentre il demone della Rocchetta ne aveva un bel paio… Lo scultore potrebbe averle viste entrambe? … Chissà… In ogni caso le corna sono uno degli attributi principali dei demoni occidentali e forse lo scultore, le inserì per rendere inequivocabile la natura maligna del personaggio che altrimenti, forse, sembrava un po’ troppo ridanciano.
Una piccola ma interessante differenza, sta infine nella posizione delle zanne: il demone della Rocchetta ha le zanne dell’arcata inferiore più vicine alla lingua, mentre nel Barong è il contrario.
In ogni caso molti elementi caratterizzanti sono comuni al volto del demone della Rocchetta e alla maschera del Barong; tra l’altro anche nella resa dei volumi: la forma del volto, il naso largo, gli occhi sporgenti (e le palpebre!), le arcate sopraciliari, lo spazio quasi circolare tra le due arcate sopraciliari… Sia i volumi che i particolari del volto si ritrovano quasi uguali.
Quindi il volto del demone-cariatide della Rocchetta Mattei, a mio avviso, probabilmente è in rapporto con la maschera balinese del Barong.
Lo scultore medioevale, in questo modo, ha arricchito la sua opera di una freschezza e naturalezza che ancora la scultura occidentaledel periodo stava (ri-) acquisendo. E infatti, insieme all’Antico (i resti romani), anche l’Esotico è un importante propulsore dell’arte medievale, come illustra in modo magistrale Jurgis Baltrušaitis nel suo libro.
Certo, si può dubitare che una maschera balinese del Barong, possa effettivamente aver compiuto un tale viaggio… fino a venire copiata da uno scultore medievale operante in Italia tra la bassa ferrarese e i nostri Appennini; Quali abissali distanze per allora!
Eppure, già in quei tempi incerti, mercanzie dai luoghi più lontani sbarcavano a Venezia: porto fondamentale lungo le rotte tra Oriente e Occidente. Venezia non è poi così lontana… E poi c’è il già citato libro di Baltrušaitis (che consiglio vivamente agli interessati!) a dimostrare in modo inequivocabile la circolarità di forme e idee artistiche tra l’Europa e l’Oriente più lontano e inaccessibile. Non solo Cina, ma anche Tibet e Giappone.
Alla fine ho fatto anche qualche bozzetto d’ipotesi su qualefosse l’aspetto originario del demone-cariatide (Fig. 18).
Insomma, la ricchezza di suggestioni, idee, rimandi, che offre la Rocchetta Mattei è veramente strabiliante anche negli elementi apparentemente più marginali come questo demone cariatide. Ci sarebbero anche altre cose da dire (a proposito dell’altra statua!), ma per questa volta, direi che basta così!
… E la prossima volta che andate alla Rocchetta Mattei, mentre attraversate il breve ma strano corridoio che porta al chiostro principale, ricordatevi, se vi va, di salutare il demone sulla vostra sinistra… Il Barong porta fortuna!
p.s. Chissà che ne penserebbe di queste riflessioni il grande artista contemporaneo Luigi Ontani; innamorato com’è sia della Rocchetta, che delle maschere balinesi… che ci abbia già pensato?
Dott. Lorenzo Toni
Dottore in Storia dell’Arte presso Dipartimento di Arte Musica e Spettacolo della Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
JurgisBaltrušaitis: Il Medioevo fantastico: Antichità ed esotismi nell’arte gotica, ed. Adelphi, 1993, MI.
Gianni Castellani: Rocchetta Mattei, un gioiello ritrovato, Fondazione Cassa di Risparmio Bologna, 2017, BO.
Bill Homes: La Rocchetta Mattei di Riola, Guida alle architetture e alle decorazioni,ed. Gruppo di studi Alta Valle del Reno, 2011, BO.
Judy Slattum, Paul Schraub, HildredGeertz: Balinese Masks, Spirits of an Ancient Drama, ed. Periplus, 2003, Singapore.
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